Marzo, meteorologicamente incostante e capriccioso, conferma il suo carattere di mese di transizione, per quanta riguarda temperatura e vegetazione. Nelle campagne i contadini si mettono a “battere l’erba”, quasi volessero scuoterla dal torpore invernale e sospingerla a uscire dalle indurite zolle. Il 19 marzo, in pieno tempo di Quaresima, la chiesa festeggia San Giuseppe, il padre di Cristo. Per un giorno si rompe il regime d’astinenza e si torna al piacere delle tavole imbandite. La principale espressione gastronomica della devozione popolare verso i Santi sono i dolci. A suon di dolci si vuole festeggiare San Giuseppe che è il santo delle frittelle, perché come assicura una voce di popolo, di secondo mestiere faceva il friggitore. Le frittelle possono essere dolci o salate. Fra le prime emergono i crespeddi siciliani, farciti di ricotta e di filetti d’acciuga, fra le seconde molto rappresentative sono le zeppole campane. Nella classica versione napoletana, appaiono: modellate a ciambellina, arrotolate, fatte con impasto di farina bianca ben lavorata, zucchero e un po’ di liquore. Si friggono nell’olio oppure si possono cuocere al forno, per poi ancora calde, imbiancarle con zucchero a velo. Le zeppole pugliesi invece sono più ridondanti, per l’aggiunta delle uova e per il sistema della doppia frittura. In Umbria le frittelle le fanno di riso e in Toscana le creano rosolate nell’olio in una versione che unisca: riso, latte, farina, uova, zucchero. Troneggiano poi, preparati sopratutto nel Lazio e un po’ ovunque in Italia, i bigné di San Giuseppe, ricchi di burro e volendo ripieni di crema. |