Dall’ VIII sec. il primo di novembre si celebra la vita e la morte di tutti i Santi. E’ festa grande per la cristianità e festa di riconoscenza per i comuni mortali. Il giorno seguente è votato alla commemorazione dei defunti, il cui culto è antichissimo. Per i Romani il “tempo dei trapassati” durava un’intera settimana del mese di febbraio, ultimo mese dell’anno, quello purificatore. La festa dei morti era venerata perché: “da i morti nasce la vita, come dai semi nasce il frutto”. La gente presumeva che nei semi delle fave nere si ritrovassero le lacrime dei trapassati. Diversi i riti dell’epoca: uno, fatto per implorare la pace ai morti, consisteva nel cospargere di questi legumi le tombe; l’altro, eseguito per scaramanzia, era realizzato gettandosi le fave dietro alle spalle e recitando le parole: “con queste, redimo me e i miei”. Nonostante ciò, le fave costituivano anche l’alimento più emblematico della ricorrenza. Nei festini mortuari, per scopi propiziatori, venivano offerte ai poveri che le mangiavano crude (perché cotte erano di pertinenza dei benestanti). In epoca cristiana, nelle ricorrenze dei Santi e dei Morti, le fave diventarono cibo di precetto, utilizzate soprattutto per minestre dalle tinte nere o verdastre. “Di tutti i legumi la fava è regina, cotta la sera, scaldata la mattina” così recitava un antico detto popolare. Purtroppo per le tradizioni italiane, in seguito alla scoperta dell’America, con l’arrivo del mais, il consumo quotidiano delle fave è andato progressivamente a diminuire. Un’altra tradizione gastronomica del giorno dei defunti, era quella di cuocere per la prima volta il castagnaccio, che rappresentava la merenda invernale più cara ai bambini. |